A
cura di 100news
Dante Maffia
di
Daniela Fabrizi
Sensibile
alla rugiada. L’anima in primo piano sull’altare dei sensi: il verso di Dante
Maffia va in circolo in pochi secondi, raggiunge l’aorta e pulsa a dismisura.
Intimista,
colloquiale, usa il punto interrogativo e l’interpunzione come segni del cuore,
pone domande che hanno già una risposta di cui il poeta non ha paura. Ricorre
lo stupore, il turchino, le lune che proteggono le fragilità interiori. Ma il
poeta dell’anima si scopre quando taglia a metà i sentimenti, seziona gli
anfratti e conclude narrazioni del corpo con raccolte di versi aperte,
fuggevoli, tormentate e preziose.
Dante
Maffia inganna la memoria con primavere immanenti avvertite a gennaio, con il
viaggio nel corpo che non è mai peccato. Soffio di misura e temerario, ama
l’amore come realtà voluta o immaginata, come ribellione alla pianezza e
all’uniformità del possibile vissuto. Il pensiero lo governa ma non lo piega, è
il sentimento che ascolta con disinteresse e trasgredisce; ma non c’è furia,
non c’è platea né palestra di streghe, la forbice s’attarda sull’incancellabile
momento del cuore e lo staglia, a tondo vivo, davanti a mobili strutture,
passaggi di lingua per l’attore. “Somigliare a niente” è l’imperativo delle
braccia del pensiero, somigliare agli altri è il messaggio del poeta vero.
L’anima,
vestita, strappata, rabbiosa, scarlatta e azzurrata, compone e sgrammatica
dedali di parole, urge di interrogativi, traveste l’animale di sogno e di
parole-chiave, nella dimensione astratta di ricorrenti paure che sono solo
proiezioni e sdoppiamenti di pensieri nell’uomo che ha significazione e che
accompagna la sua vita perché la sa piena di vissuta emozione, di labirinti e
di sorpresa. Dante Maffia possiede e controlla l’immediatezza del verso, il
coltello della ragione detta una poesia sposata all’immaginazione, apre sipari,
squarcia scenari, entra nel vivo senza massimi sistemi.
Il
lettore è un cercatore di spazi e di silenzi nella sua poesia di dialoghi
spezzati, di passaggi di scena, di chiuse che asciugano la gola.
Le
ragioni della malinconia sono d’ogni uomo, ma Dante Maffia ne fa stendardo per
mettere la vita a fuoco, per sviscerare sentimenti e frammentazioni nuove,
ombre e figure accese, attimi viaggianti che inseguono logiche errabonde e
sfidano l’eterno. Struggente, crudo, fors’anche crudele in qualche anacoluto,
il poeta indossa l’identità di chi si espone, non di chi sente e parallelamente
scrive, ma di chi scrive sentendo, amando, inseguendo speranze indicibili e
luci corrucciate.
Il
discorso si esalta nel sé narrabile e nel lessico che ne raddoppia il valore,
nella sintassi diretta e significativa, nel desiderio portato in braccio
dall’affabulazione prima. E’ una sfida a chi vive di rimpianto, di taciuto, di
impossibilità di essere prima ancora di apparire, è il vissuto che primeggia
sul trasfigurato, è l’effetto del sogno che smette di essere esiliato.
Dante
Maffia non si può leggere per caso, è l’anima che lo richiede. Richiede acqua
per la sua sete, sangue per la sua emorragia. E il sangue viene, rosso come il
cuore, sovrapposto a quello venoso, blu come il pensare. Ed è ancoraggio e
trasfusione, innesto e donazione, se ne esce trapiantati. Di espressività
mentali non convenzionali, di illuminazione contro il nulla che sottolinea
l’esistenza. Forte, audace, maestro della parola come espressività pura, Maffia
punta dritto al cuore con la sua spada di poeta e inventa la risposta
all’utopia, il crepuscolo e la sua stessa meta. Bisognerebbe essere dei pazzi
per non soffermarsi sulle sue note, per non riconoscere quello che siamo e
funzionalmente reprimiamo, per non sentire il suicidio interiore che ci divora
quando sentiamo che quel che dice è vero, è funzionale, che forse solo così la
vita andrebbe vissuta, che per un attimo abbiamo dato forza alle nostre dita e
abbiamo sfogliato l’anima con un codice segreto.
Maffia
approda al silenzio quando la volontà pretende il tormento, quando si
rischierebbe di andare all’inferno per aver pensato, per aver ceduto alle
regole del gioco. Ma dopo questi versi, questa grammatica della complessità
interiore, il silenzio parla esclusivamente l’unica lingua che potrebbe
parlare: quella dell’amore. Stendardi e bandiere sventolano sul cuore memori di
una patria clandestina che sacrifica giovani vite alla sua difesa, slanci e
creature della parola pura sottesa ad ogni impercettibile emozione. Questo è il
precetto, la nave sicura, e nella stiva i sogni di un impavido guerriero.
Scelta
antologica
L’ETERNITA’ HA PERDUTO
Per
noi sognavo la grotta celeste
con
leoni schiavi pronti ai nostri comandi.
E
sognavo la sconfitta della vecchiaia e della morte,
non
questa deriva ovattata
in
cui fanno ressa profumi lontani
e
ciclamini sfatti.
E’
colpa del tuo silenzio?
L’eternità
ha perduto le penne,
s’è
infilata nelle calze di lana
e
nel latte caldo. Tutto pensavo, tranne
che
fossimo ospiti provvisori del sorriso.
VOLGI LO SGUARDO
Nessuno
poté fermare
il
sibilo che ruppe i timpani
ai
gelsomini notturni
e
li colmò d’inerzia.
Le
cose vanno
come
vanno: le maree
non
rinunciano al monotono scambio
delle
loro vene.
Poiché
ci sono adesso, e chissà
se
poi altre nuvole alzeranno il capo
smarrite
nel crepuscolo dell’alba.
Ascolta
la rugiada farsi gelo,
apri
il cancello,
volgi
lo sguardo al cielo.
FIORITURE ANALFABETE
La
tua assenza rende le foglie
fioriture
analfabete
dolore
che deborda e singhiozza.
Forse
ha ragione il poeta, si può raccogliere
soltanto
ciò che è incompiuto,
il
compiuto non esiste più.
E’ L’ALBA
È
l’alba. Mi attraversa
un
brivido di cielo.
Il
sogno fugge. L’orizzonte
sorge
nelle tue mani.
Come
potranno dire le parole
la
lenta agonia che nasce in me
quando
t’allontani? È l’alba, il vento
ha
la bocca piena di canarini morti.
I BRIVIDI DELLA CITTÀ
Hai
ragione: dopo
avranno
la parola i faggi,
i
lupi, i papaveri.
E
saranno canzoni i brividi
della
città rumorosa.
A
cura di 100news
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